Un bar come tanti, di quelli troppo vecchi per essere “in voga” ma non abbastanza da essere considerato vintage. Sedie sbiadite dal tempo e tavolini rotondi traballanti, e quel proprietario sdentato ma sempre gentile che passava le sue giornate a leggere dietro al bancone, perché dopotutto aveva assunto una cameriera apposta per servire i clienti. Il locale era semivuoto, nonostante fuori il cielo fosse carico di pioggia. Il vento del giorno precedente aveva portato solo nubi grigie e minacciose.
“E quindi, tu che gli hai detto?” Talitha si sporse verso Sole, poggiando i gomiti sul piano in legno e inarcando la schiena, sembrando più preoccupata che curiosa, come se temesse la risposta dell’amica. Ma l’altra si limitò a scuotere le spalle sbuffando “Ma cosa vuoi che gli abbia risposto? Ho liberato il braccio e me ne sono andata, ovviamente borbottando insulti fino a quando non ho raggiunto la libreria.” Sorrise, immaginando che buffa dovesse essere sembrata ai passanti, ricoperta di caffè, balbettando parolacce fra sé e sé. Eppure Talitha non parve crederle, perché se ne restava lì, in quella posizione “sospesa”, con un sopracciglio inarcato e il sorriso di un gatto. Famelico. La stava osservando, come faceva sempre quando Sole si ritrovava a mentirle, o in questo caso “omettere”. Stava nascondendo un dettaglio, quel minuscolo e insignificante dettaglio che l’aveva distratta tutto il giorno precedente: non riusciva a togliersi quella strana e sciocca sensazione che il ragazzo avesse ragione, che anche lei lo conoscesse.
“Bene.” Talitha si risedette comodamente sulla sedia, brandendo fra le mani la sua tazza di caffè americano, e riscuotendo Sole dai propri pensieri. “Meglio così, ogni tanto credo proprio che viviamo in un mondo di pazzi. Non trovi? Peró, dimmi…almeno era carino?”
Le due ragazze scoppiarono a ridere, lasciando che quel racconto bizzarro scivolasse via dai loro pensieri, almeno per qualche minuto. Si conoscevano da qualche anno, Sole e Talitha: prima coinquiline in una città sconosciuta, poi compagne di viaggio per un anno, e infine ottime amiche (nonché nuovamente coinquiline). Dopo sei mesi di home sharing in una soffitta parigina, avevano deciso di partire per l’Australia e la Nuova Zelanda, guadagnandosi da vivere come cameriere o dog sitters, secondo le necessità. Erano approdate a Barcelona da nemmeno cinque mesi e, mentre Talitha continuava a lavorare come cameriera – a ‘sto giro sui pattini a rotelle, come diceva lei, in un ristorante stile USA Anni ’50 -, Sole si occupava della gestione di una libreria nel Barrio Gotico, il proprietario era anziano e aveva deciso di prendere qualcuno che lo aiutasse a mandare avanti l’attività. Non aveva figli, né tantomeno amici ancora in vita, era solo, e nonostante i modi burberi e il carattere scontroso, adorava la ragazza bionda che sorrideva sempre e fischiettava mentre puliva il negozio.
“Quando hai finito di bere il tuo caffè, passami la tazzina. Ho imparato a leggere i fondi di caffè.”
“Quando la smetterai con queste cose Talitha? Ogni tanto mi fai paura…” Sole passò all’amica la sua tazza di porcellana bianca, mentre raccogliendo borsa e giubbotto, si apprestava a raggiungere nuovamente “Los Libro Encantados”.
“Ci vediamo a casa bellezza, e saprò svelarti il tuo futuro.”
La storia di Sole continua, “Fondi di Caffè” non è tratto da un libro ed è uno dei racconti che narrano semplicemente una fiaba contemporanea.
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